No alla trascrizione come matrimonio delle nozze tra un italiano ed un cittadino straniero dello stesso sesso (Cass. Civ., 14 maggio 2018, n. 11696).
Con questa interessante sentenza la Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine ad un ricorso di due persone dello stesso sesso che avevano contratto matrimonio con rito civile in Portogallo e, successivamente, ne avevano chiesto la trascrizione al comune di Milano.
La Corte territoriale aveva rigettato la richiesta della coppia di vedere riconoscere la propria unione come ‘matrimonio’, sulla base dell’argomento per cui, all’epoca dei fatti, i singoli stati membri del Consiglio d’Europa godevano della insindacabile libertà e della riserva assoluta di legislazione di scegliere il modello di unione tra persone dello stesso sesso.
Non essendo disciplinata l’unione omosessuale in Italia, la Corte aveva rigettato la domanda. La coppia aveva adito pertanto la Cassazione.
Nelle more del giudizio di cassazione, interveniva – in data 5 giugno 2016 – la l. 76 del 2016 ed i decreti legislativi delegati che introducevano l’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Superata in senso positivo la questione circa l’applicabilità, in senso retroattivo, della nuova normativa, al caso di specie, la Cassazione – premesso che la domanda dei ricorrenti era rivolta al riconoscimento della loro unione coniugale come matrimonio e non come unione civile – passa ad esaminare la portata dell’art. 32 bis della l. 218/1995, secondo cui “il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana”.
Si tratta pertanto, dice la Corte, di un sistema di riconoscimento delle unioni omoaffettive, contratte all’estero, fondato sulla preminenza del modello adottato nel diritto interno delle unioni civili, del tutto coerente con il quadro convenzionale (art. 8 e 12 Cedu) e dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, come tale, insindacabile.
Per questi motivi, la Corte ha rigettato il ricorso. L’unione omosessuale celebrata all’estero tra un cittadino italiano ed uno straniero non può pertanto essere omologata ad un matrimonio, ma, al più ad un’unione civile.
La mail costituisce prova scritta nel processo se colui che l’ha prodotta non la disconosce (Cass. Civ., 14 maggio 2018, n. 11606).
La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha ribadito l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale le mail, ove non contestate quanto alla provenienza ed al contenuto, dall’autore, formano piena prova in giudizio.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera p) del codice dell’amministrazione digitale, l’e-mail costituisce un «documento informatico», ovvero un “documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. L’e-mail, pertanto, seppur priva di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche, ovvero fra le rappresentazioni meccaniche indicate, con elencazione non tassativa, dall’articolo 2712 Cc, e dunque forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale viene prodotta non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Nel caso trattato, la mail con cui si riconosceva un debito è stata ritenuta sufficiente dalla Suprema Corte per provare sia l’esistenza di un rapporto contrattuale, sia l’importo del credito azionato.
Pertanto, la parte che produce la mail si ritiene abbia soddisfatto l’onere della prova ex art. 2697 c.c.
Si tratta di una importante conferma circa l’uso dei mezzi di prova prodotti con sistemi informatici nel processo civile.
La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non dà diritto al mantenimento stabilito dal giudice in sede di separazione (Cass. Civ., 11 maggio 2018, n. 11553).
Con una recente sentenza la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo che – ottenuta la delibazione, da parte della competente corte d’appello – della decisione ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, chiedeva la revoca del proprio obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento disposto nel corso del giudizio di separazione.
La decisione si fonda sulla ratio della separazione: essa, infatti, presuppone la sussistenza del vincolo di coniugio, a differenza di quanto avviene nel divorzio in cui tale vincolo viene meno, proprio a seguito della pronuncia sullo status di ‘divorziato’.
La Corte, pertanto, proprio sulla base di tale importante differenza, enuncia il principio della efficicacia retroattiva della dichiarazione di invalidità originaria del matrimonio: dal momento che la separazione pressupone la permanenza del vincolo coniugale e l’assegno disposto dal giudice della separazione viene disposto in attuazione del dovere di assistenza materiale tra due soggetti che restano coniugi – ancorchè separati – il venir meno del vincolo coniugale in virtù della delibazione della sentenza ecclesiastica che sancisca la nullità del matrimonio ha come effetto il travolgimento dei correlati oneri economici gravanti sull’obbligato.
L’Unione forense per la tutela dei diritti umani celebra il suo cinquantesimo anniversario (Roma, 18 maggio 2018).
In data 18 maggio 2018, l’Unione forense per la tutela dei diritti umani celebrerà il cinquantenario della fondazione, avvenuta nel lontano marzo 1968 ad opera di illustri giuristi, quali Giovanni Conso, Giuliano Vassalli e Mario Lana, con un convegno dal titolo “Diseguaglianze e diritti umani”.
In occasione di tale evento, organizzato presso l’Aula Magna della Corte di Cassazione dalle ore 14:30 alle ore 18:30, saranno presenti – tra gli altri – Giovanni Mammone, Primo Presidente della Corte di Cassazione, Francesco Caia, Presidente della Commissione diritti umani del Consiglio Nazionale Forense, Anton Giulio Lana, Presidente dell’Unione forense, Alfonso Celotto, Professore di diritto costituzionale nell’Università Roma Tre, Filippo Donati, Professore di diritto costituzionale nell’Università di Firenze, Chiara Favilli, Professoressa di diritto dell’Unione europea nell’Università di Firenze, Fausto Pocar, Professore emerito di diritto internazionale nell’Università degli studi di Milano, Lucia Tria, Consigliere della Corte di Cassazione, Claudio Zanghì, Professore emerito di diritto internazionale nella Sapienza Università di Roma. Nel corso dell’evento sono state previste le testimonianze di Vito Mazzarelli, Vice Presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, Matteo Carbonelli, Vice Presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, Maurizio de Stefano, Componente del Direttivo dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani e di Bertrand Favreau, Presidente de l’Institut des droits de l’homme des avocats européens (IDHAE).