La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 2270 del 6 aprile 2017, ribadisce la decorrenza della prescrizione del diritto del risarcimento del danno da contagio per l’uso di emoderivati dalla data del responso della commissione medico ospedaliera.
Al termine di una complessa battaglia giudiziaria condotta dallo Studio Lana Lagostena Bassi e durata, solo in secondo grado, oltre 10 anni, la Corte d’Appello di Roma respinge l’impugnazione del Ministero della Salute e – recependo le argomentazioni dello Studio – dichiara che l’eccezione di prescrizione è stata sollevata in modo generico, senza circostanziarla caso per caso. Lo Studio Lana Lagostena Bassi ha il piacere di annunciare l’ennesimo successo conseguito in materia di sangue infetto che interessa oltre 200 danneggiati da emotrasfusioni.
Più in particolare, la Corte d’appello ha riaffermato che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dalla data della ricezione del giudizio della Commissione medico ospedaliera, in merito alla sussistenza del nesso di causa tra trasfusione (o assunzione da emoderivato) ed infezione.
Come correttamente osserva la sentenza della Corte romana, la consapevolezza in merito al responsabile del proprio danno è maturata nei danneggiati dal momento in cui gli stessi hanno ricevuto il giudizio della Commissione Medica Ospedaliera dell’allora Ministero della Sanità, attestante il nesso di causalità – alla stregua di vera e propria ammissione di responsabilità da parte del Ministero stesso – tra l’assunzione di emoderivati ed il virus contratto da ognuno.
E’ infatti proprio l’accertata sussistenza del nesso causale tra la somministrazione di emoderivati e la patologia che consente al soggetto danneggiato di imputare la responsabilità dell’evento occorsogli e, dunque, di rendere il suo diritto al risarcimento concreto ed azionabile.
Una conclusione obiettivamente ineccepibile.
I numerosi soggetti interessati alla suddetta sentenza vedono riaccendersi le speranze all’ottenimento di una riparazione congrua dei danni subiti a causa della negligenza dello Stato.
Epatite C: il Ministero della salute autorizza l’acquisto dei farmaci all’estero.
In virtù della circolare del 23 marzo 2017 del Ministro della Salute, On. Beatrice Lorenzin, coloro che non rientrano dei criteri fissati dall’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) per accedere alla cura anti epatite C a spese del servizio sanitario italiano potranno acquistare all’estero – per il solo uso personale – il farmaco generico, i cui costi sono evidentemente più contenuti rispetto al prodotto attualmente distribuito in Italia.
Nella circolare, non si parla espressamente di epatite C e, pertanto, il provvedimento è applicabile anche ad altri medicinali, purché ricorrano analoghi presupposti.
In generale, la normativa stabilisce, infatti, che nessun farmaco può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza la necessaria autorizzazione dell’AIFA o delle competenti autorità europee (art. 6, D. lgs. 219 del 2006).
In via eccezionale, la circolare in parola ammette, tuttavia, l’importazione ad uso personale di medicinali regolarmente autorizzati in un paese estero. Ed in particolare, detta circolare consente: a) la spedizione dall’estero, su richiesta del medico curante, di farmaci regolarmente in vendita all’estero, ma non autorizzati al commercio sul territorio nazionale; b) l’immissione nel territorio italiano di medicinali registrati all’estero, portati direttamente dal viaggiatore, purché destinati ad uso personale per un trattamento terapeutico non superiore a 30 giorni.
Al riguardo, si consideri che il decreto ministeriale dell’11 febbraio 1997 stabiliva già che detta importazione straordinaria deve essere giustificata da oggettive ragioni di eccezionalità, che determinino il medico curante a prescrivere al proprio paziente l’assunzione di un medicinale regolarmente autorizzato in un Paese estero, attesa la mancanza di una valida alternativa terapeutica.
Sul punto, con la richiamata circolare, il Ministero ha precisato che mancanza di una valida alternativa terapeutica può ricorrere anche nell’ipotesi in cui, pur in presenza di analogo medicinale regolarmente autorizzato in Italia, il farmaco del quale si richiede l’importazione presenti un diverso dosaggio del principio attivo, una diversa via di somministrazione, eccipienti diversi o una diversa formulazione di principi attivi oppure nell’ipotesi in cui l’accesso al medicinale disponibile in Italia non risulti possibile al paziente, poiché lo stesso non rientra nei criteri per l’erogazione del farmaco a carico del Servizio sanitario nazionale ovvero per la sua eccessiva onerosità.
Il Tribunale di Milano condanna severamente il comportamento della madre che spinge la figlia minore a disprezzare il padre.
Il Tribunale di Milano, con decreto dell’11 marzo 2017, ha qualificato come «offesa alla giurisdizione» il comportamento di una madre che tacciava il padre di «disinteresse per la figlia» colpevolizzando il genitore per «la conseguente reazione di rifiuto della minore».
La vicenda trae origine dal ricorso introdotto dalla madre di una bambina di otto anni che, a seguito un decreto giudiziale volto a regolare l’esercizio delle responsabilità genitoriale del 20 maggio 2014, adiva il Tribunale al fine di segnalare l’insorgenza di problematiche comportamentali della minore, a suo dire, dovute al difficile rapporto con il padre causate dal disinteresse dell’uomo nei confronti della figlia.
Nel corso del giudizio, la consulenza tecnica evidenziava una figura paterna estremamente “diversa” dalla descrizione fornita dalla madre-attrice.
Ed invero, il consulente qualificava il padre come un uomo semplice con modesti strumenti di relazione ma sinceramente affettuoso verso la figlia e, al contrario di quanto prospettato dalla madre, devastato dallo stress di un conflitto familiare scatenato dalla moglie.
Secondo la consulenza, la bambina aveva assunto «come proprio il pensiero materno, che sul padre esternalizza ogni colpa nel tentativo di sottrarsi all’implicazione personale del fallimento del progetto di coppia».
Il Collegio di Milano, dunque, aderendo alla prospettazione fornita dal consulente d’ufficio, ha rilevato come relazione tra figlia e papà sia stata “inficiata da comportamenti alienanti del genitore collocatario” e, dunque, dalla madre della bambina.
Il Tribunale ha infine evidenziato che «finché la madre non darà il proprio avallo, la figlia non potrà costruire una relazione buona e fiduciosa con il padre». Di conseguenza, i giudici hanno temporaneamente confermato il collocamento della bambina — al momento affidata al Comune — presso la madre, impartendo secche prescrizioni: la madre, infatti, dovrà favorire visite libere del padre, dare alla figlia una lettura realistica della figura paterna e prendere coscienza dei propri distorti convincimenti sull’ex compagno; in caso contrario, la minore sarà collocata presso il padre oppure presso una famiglia affidataria.
Nel concludere che la relazione tra la figlia e il papà sia stata inficiata dai comportamenti alienanti della madre, il Tribunale, qualificando il ricorso promosso dalla madre come “palesemente infondato” e finanche “imprudente”, ha sanzionato duramente la donna condannandola al pagamento del doppio delle spese di giudizio (in questo caso 7.200 euro) per aver «abusato del proprio diritto» di rivolgersi al Tribunale ed essersi servita «dello strumento processuale a fini dilatori, contribuendo così ad aggravare il volume del contenzioso e ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti».
Il testo integrale del decreto è consultabile qui.
Costringere la moglie a sopportare i rapporti intimi del marito con l’amante nelle casa familiare integra il reato di maltrattamenti (Cass. Civ. 16543/2017).
Costringere la moglie a sopportare il tradimento in casa è reato. La condotta infatti integra il reato di maltrattamenti in piena regola. Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza n. 16543/2017, depositata il 4 aprile scorso, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di una donna costretta tra le varie cose a subire i rapporti intimi del marito con l’amante nella casa coniugale.
Sul punto, a nulla vale per l’uomo tentare di sminuire il proprio comportamento, adducendo la non configurabilità del reato di maltrattamenti, per avere semplicemente “intrattenuto una relazione extraconiugale” e non la serie di atti vessatori richiesti dalla fattispecie incriminatrice. La Cassazione ha infatti respinto ogni argomento difensivo del marito, confermando la sentenza di secondo grado.
La condotta di violenza e di sopraffazione del marito nei confronti della moglie è consistita nell’intrattenere rapporti sessuali con l’amante all’interno della casa coniugale imponendo alla moglie l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce.
La sentenza di appello, ciononostante, è stata annullata senza rinvio limitatamente al delitto ex art. 527 c.p., perché il fatto, dopo la depenalizzazione, non è più previsto dalla legge come reato.
I figli restano ai servizi sociali se la madre continua ad ostacolare i rapporti con il padre.
Con sentenza numero 1927/2017 del 23 marzo scorso, la Corte d’Appello di Roma ha confermato l’affidamento ai servizi sociali di due bambine, disposto dal Tribunale con collocamento presso la madre e frequentazione del padre con modalità protette sino all’esito del procedimento penale su di lui pendente. A chiedere in secondo grado la riforma di tale decisione era stata la madre, che, tuttavia, è tornata a casa con un netto diniego da parte del giudice dell’impugnazione. Tale particolare ed eccezionale forma di affidamento, infatti, era stata disposta anche a causa delle gravi responsabilità della donna nella determinazione sia della condizione di disagio personale delle figlie che delle difficoltà relazionali tra queste ultime e la figura paterna.
In mancanza di un cambio di rotta significativo da parte della madre, circostanza che non permette di accordarle nuovamente una piena e incondizionata fiducia circa la sua capacità di crescere adeguatamente e per il meglio le bambine in maniera autonoma, restano non solo l’affido delle minori ai servizi sociali e le limitazioni alla responsabilità genitoriale, ma anche le prescrizioni sul percorso psicoterapeutico già intrapreso e le sanzioni di ammonimento e pecuniarie inflitte alla madre per garantire la salvaguardia del benessere psicofisico delle figlie e la conservazione e lo sviluppo della loro relazione con l’altro genitore.
In conclusione, per tornare a dare fiducia a un genitore e revocare l’affidamento dei suoi figli ai servizi sociali è necessario verificare in concreto un cambiamento significativo della sua condotta, dimostrabile attraverso l’unico risultato della fuoriuscita dei piccoli dalla conflittualità genitoriale.
Convegno internazionale “La violenza contro le donne nel web e offline: prevenzione e contrasto”, Roma, 26 maggio 2017.
In data 26 maggio 2017 – dalle ore 14,30 alle ore 18,00 – presso la Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati si terrà il convegno internazionale “La violenza contro le donne nel web e offline: prevenzione e contrasto”, organizzato dall’Unione forense per la tutela dei diritti umani (UFTDU), in collaborazione con l’Institut des droits de l’homme des avocats européens (IDHAE). L’iniziativa, patrocinata dalla Camera dei Deputati e dal Consiglio Nazionale Forense, si inscrive nel quadro degli incontri della giura del Premio Ludovic Trarieux, che quest’anno si svolgeranno a Roma per la selezione del candidato del 2017. In apertura all’evento, porteranno un indirizzo di saluti la Presidente della Camera dei Deputati, On. Laura Boldrini, il Ministro della Giustizia, On. Andrea Orlando, il Presidente del CNF, Avv. Andrea Mascherin, il Presidente dell’IDHAE, Avv. Bertrand Favreau e il Presidente dell’UFTDU, Avv. Prof. Anton Giulio Lana.
Al tavolo dei relatori, moderati dalla giornalista Claudia Marchionni, interverranno il Presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, Sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Roma, dott. Eugenio Albamonte, la Presidente della I sezione del Tribunale di Roma, dott.ssa Franca Mangano, la Vice Presidente dell’Ordine degli avvocati di Parigi, Avv. Dominique Attias, l’Avv. Roxane Sheybani dell’Ordine degli avvocati di Ginevra, e la Presidente dell’Association of Women Barristers, Avv. Neelam Sarkaria. Chiuderà i lavori con una relazione conclusiva l’Avv. Prof. Anton Giulio Lana, Presidente dell’UFTDU.
Ai partecipanti verranno attribuiti, rispettivamente, 3 crediti formativi da parte del Consiglio Nazionale Forense o 4 crediti formativi dal Consiglio Ordine dei Giornalisti.
L’accesso alla Sala – con abbigliamento consono e, per gli uomini, obbligo di giacca e cravatta – è consentito previa registrazione presso la Segreteria organizzativa UFTDU Per maggiori informazioni, si prega di contattare la segreteria al seguente indirizzo: [email protected].