Approvato in via definitiva il c.d. “Decreto salva esclusi”.
Il Parlamento italiano, l’11 agosto scorso, ha approvato la legge n. 114/2014, entrata in vigore il successivo 18 agosto 2014, con la quale ha convertito con modificazioni il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”.
A seguito dell’approvazione di un emendamento proposto dal Ministro della Salute, On. Beatrice Lorenzin, tra le modificazioni introdotte dalla legge di conversione, vi è la disposizione di cui all’art. 27-bis, che prevede una norma a vantaggio dei soggetti esclusi dalla transazione.
Il testo integrale dell’articolo 27-bis, rubricato “Procedura per ristorare i soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto, da somministrazione di emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie”, può essere visionato cliccando sul seguente link: D.L. n. 90/2014, convertito con L. n 114/2014 .
Da una prima lettura della norma ed in attesa che il Ministero della salute adotti eventuali chiarimenti applicativi, quanto emerge è che i soggetti che hanno presentato domanda di adesione alla procedura di transazione possono beneficiare di una somma di denaro, a titolo di equa riparazione, pari ad euro 100.000 per i danneggiati da trasfusione con sangue infetto e da somministrazione di emoderivati infetti e ad euro 20.000 per i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, a condizione che rinuncino all’azione risarcitoria intrapresa, comprese le procedure di transazione, e ad ogni ulteriore pretesa di carattere risarcitorio nei confronti dello Stato anche in sede sovranazionale (ossia anche ai giudizi innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo).
Il riconoscimento della somma di denaro è subordinato soltanto alla ricevibilità della domanda di adesione alla transazione ed al possesso dei seguenti requisiti:
a) l’esistenza di un danno ascrivibile alle categorie di cui alla Tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, accertato dalla competente Commissione Medico Ospedaliera di cui all’articolo 165 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, di seguito denominata «Commissione», o dall’ Ufficio medico legale della Direzione generale della programmazione sanitaria, dei livelli essenziali di assistenza e dei principi etici di sistema del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di seguito denominato «Ufficio medico legale», o da una sentenza;
b) l’esistenza del nesso causale tra il danno di cui alla precedente lettera a) e la trasfusione con sangue infetto o la somministrazione di emoderivati infetti o la vaccinazione obbligatoria, accertata ad opera della competente Commissione o dall’Ufficio Medico Legale o da una sentenza; limitatamente alle transazioni da stipulare con gli aventi causa di danneggiati deceduti, si prescinde dalla presenza del nesso di causalita’ tra il danno di cui alla lettera a) ed il decesso, accertato dalla competente Commissione o dall’Ufficio Medico Legale o da una sentenza.
La liquidazione degli importi sarà effettuata entro il 31 dicembre 2017, in base al criterio della gravità dell’infermità derivate agli aventi diritto e, in caso di pari entità, secondo l’ordine del disagio economico, accertato con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, nei limiti della disponibilità annuale di bilancio. La corresponsione delle somme sarà subordinata alla formale rinuncia all’azione risarcitoria intrapresa, ivi comprese le procedure transattive, e a ogni ulteriore pretesa di carattere risarcitorio nei confronti dello Stato anche in sede sovranazionale.
La soluzione prospettata dal governo costituisce evidentemente una iniziativa rivolta, principalmente, a coloro che vedono il proprio diritto al risarcimento precluso dalla prescrizione. Infatti, tra i presupposti per ottenere l’ “equa soddisfazione”, non vengono richiamati quelli previsti nei precedenti decreti regolanti il procedimento transattivo, che condizionavano l’accoglimento delle singole domande al rispetto dei criteri posti dalle Sezioni Unite della Cassazione, al fine di escludere il compimento della prescrizione. In attesa di esaminare in modo più approfondito tutte le problematiche, anche interpretative, che necessariamente la nuova norma porrà, opportunamente informandone i singoli clienti, si dovrà, innanzitutto, valutare la convenienza dell’adesione alla proposta di equa soddisfazione ieri approvata, in alternativa alla prosecuzione nel giudizio dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con la prospettiva, in caso di esito positivo, di ottenere (anche a beneficio dei soggetti prescritti) le medesime somme stanziate per la transazione del 2004.
Prima adozione in Italia da parte di una coppia omosessuale.
Il Tribunale dei Minorenni di Roma con la sentenza n. 229 del 29 agosto 2014 ha riconosciuto l’adozione di una bambina di cinque anni da parte della compagna della sua madre naturale. È il primo caso in Italia di adozione di un figlio da parte di una coppia omosessuale, ottenuta attraverso la stepchild adoption, una pratica per la quale il partner del genitore naturale o adottivo diventa legalmente responsabile del bambino nel caso l’altro genitore rinunci alle sue prerogative. In altri paesi europei è prevista sia per le coppie eterosessuali sia per quelle omosessuali. La coppia di donne in questione ha una relazione da circa undici anni e cinque anni fa si era recata in Spagna per prendere parte a un programma di fecondazione eterologa (che cioè avviene grazie alla presenza di un donatore esterno). Dopo la nascita della bambina, la coppia si è sposata ed è tornata a vivere a Roma. Da allora, la bambina ha sempre vissuto con la coppia. La decisione del giudice è arrivata alla fine di un «lungo iter» del processo di adozione, durante il quale la coppia è stata esaminata dai servizi sociali. Il ricorso è stato accolto «sulla base dell’articolo 44 della legge sull’adozione del 4 maggio 1983, n. 184, come modificata dalla legge 149 del 2001», il quale contempla l’adozione in casi particolari. Ovvero “nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l’adulto, in questo caso genitore ‘sociale’, quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo”, indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori. L’adozione c.d. “in casi particolari”, disciplinata dal citato articolo, risponde all’intenzione del Legislatore di voler favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già si prendono cura del minore stesso, prevedendo la possibilità di un’adozione con effetti più limitati rispetto a quella legittimante, ma con presupposti meno rigorosi. Viene data in tal modo rilevanza giuridica a tutte quelle situazioni in cui, pur essendo preminente la finalità di proteggere il minore, mancano le condizioni che consentono l’adozione con effetti legittimanti di un soggetto minore di età. D’altra parte la già citata sentenza della Corte Costituzionale 198/1986 aveva già chiarito che, con riferimento proprio all’art. 44 L. 184/83, “l’esigenza di adeguata considerazione di legami di fatto instauratisi trova nella nuova normativa un riconoscimento tanto penetrante, da indurre il legislatore a derogare, in alcuni casi, al requisito generale dell’esistenza o persistenza di un rapporto di convivenza o di coniugio tra gli affidatari“. Peraltro, il criterio dell’imitatio naturae, in virtù del quale l’adozione dovrebbe rispecchiare il modello dominante della famiglia tradizionale unita dal vincolo del matrimonio, aveva già subito un ridimensionamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 145 del 1969 dove veniva precisato che, con riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., queste disposizioni “non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae” esprimendo, invero, una mera indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi, sulla scorta dell’esigenza di garantire al minore la stabilità necessaria sotto il profilo educativo ed affettivo. La Corte osserva: “quello che occorre valutare in via prioritaria è l’interesse del minore, considerando soprattutto le situazioni caratterizzate dalla preesistenza di legami affettivi tra i soggetti dell’instaurando rapporto adottivo; la famiglia deve, infatti, possedere i caratteri dell’adeguatezza, da individuarsi però in concreto sulla base dell’interesse del minore.” D’altra parte osserva il Collegio che, rispetto alla citata pronuncia della Corte Costituzionale, la stabilità che il vicolo matrimoniale potrebbe garantire è oggi messa fortemente in discussione dall’elevatissima percentuale di separazioni e divorzi, essendosi dunque notevolmente affievolito negli anni il divario esistente tra la tradizionale indissolubilità caratterizzante il vincolo matrimoniale e le convivenze stabili. La conclusione raggiunta non può non applicarsi, ad avviso del Collegio, anche a conviventi del medesimo sesso. Ciò, in primo luogo, ed ancora una volta, alla luce dell’ inequivoco dato letterale di cui all’art. 44, co. 1, lett d). Tale norma non discrimina tra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali. Una lettura in senso diverso sarebbe, peraltro, contraria alla ratio legis, al dato costituzionale nonché ai principi di cui alla Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali (“CEDU”), di cui l’Italia è parte. Il Collegio dice infatti: “una lettura dell’art. 44, co. 1, lett. d) che escludesse dalla possibilità di ricorrere all’istituto dell’adozione in casi particolari coppie di fatto omosessuali a motivo di tale orientamento sessuale si porrebbe in contrasto con gli artt. 14 e 8 della CEDU.”
Caso Shalabayeva: la Cassazione giudica illegittima la sua espulsione dall’Italia del maggio 2013.
Il 30 luglio scorso, con la sentenza n. 17407, la VI Sezione Civile della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla signora Shalabayeva dichiarando illegittima la sua espulsione dall’Italia disposta dal Giudice di Pace di Roma in data 31 maggio 2013. La moglie del dissidente kazako, che lo Studio Lana – Lagostena Bassi ha recentemente assistito nella procedura di ottenimento dello status di rifugiato, era stata prelevata dalla sua abitazione nel quartiere di Casal Palocco, a seguito di un blitz notturno delle forze dell’ordine italiane. Interrogata per ore, la signora Shalabayeva era stata poi trasferita nel Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di Ponte Galeria (Roma). Subito dopo, il Giudice di Pace aveva disposto il suo rimpatrio in Kazakistan assieme alla figlia minore Alua, di soli sei anni. Secondo i giudici della Cassazione, “la contrazione dei tempi del rimpatrio e lo stato di detenzione e sostanziale isolamento nel quale è stata tenuta Shalabayeva dall’irruzione alla partenza, hanno determinato nella specie un irreparabile vulnus al diritto di richiedere asilo e di esercitare adeguatamente il diritto di difesa”. Per questi motivi, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la convalida del trattenimento della signora Shalabayeva presso il CIE di Ponte Galeria da parte del Giudice di Pace di Roma, che faceva seguito al provvedimento di espulsione emesso il giorno prima, e ha condannato il Ministero dell’Interno a pagare in suo favore Euro 5.200 per coprire le spese relative alla fase di convalida del suo fermo, nonché quelle per il giudizio innanzi alla stessa Cassazione. Il testo integrale delle sentenza è consultabile qui.
Nuova azione collettiva a Strasburgo. Adesione entro il 26 settembre 2014.
Alla luce delle recenti sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, che hanno dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione i ricorsi avverso i dinieghi all’accesso alla transazione del Ministero della salute (Ridab negativi), riteniamo opportuno adire la Corte europea dei diritti dell’uomo. Il TAR, infatti, riprendendo una recentissima sentenza del Consiglio di Stato, ha dichiarato che dette impugnazioni vadano proposte di fronte al giudice civile. Dinanzi a questa ennesima ed inopinata sentenza, appare, dunque, “necessario” proporre ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo al fine di lamentare le gravi discriminazioni e violazioni perpetrate dallo Stato italiano nei Suoi confronti. Chiunque fosse interessato, potrà contattare lo studio entro il 20 settembre p.v..
Le questioni ancora aperte nei rapporti tra le corti supreme nazionali e le corti di Strasburgo e di Lussemburgo.
Il prossimo 23 ottobre, l’Avv. Anton Giulio Lana parteciperà come relatore al convegno “Le questioni ancora aperte nei rapporti tra le corti supreme nazionali e le corti di Strasburgo e di Lussemburgo”, che si terrà presso l’Aula Magna della Corte di Cassazione. Il convegno, coordinato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, si concluderà il giorno 29 ottobre ed analizzerà il dialogo tra Corti nazionali e Corti internazionali alla luce del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nonché dell’introduzione del Protocollo n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il programma del corso è consultabile qui.
Decreto legge del 29 agosto 2014: come cambierà il processo civile.
Il 12 settembre 2014 è stato emanato il decreto legge n. 134/2014, recante misure urgenti in materia di amministrazione della giustizia italiana. La ratio ispiratrice del decreto legge – alla cui guida campeggia il premier Matteo Renzi – su proposta del ministro Guardasigilli Andrea Orlando, è quella di abbattere il pesante carico di arretrati pendenti nei diversi Tribunali italiani. Di seguito i tratti salienti:
1. Trasferimento alla sede arbitrale dei procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria.
La riforma introduce la possibilità – su istanza congiunta delle parti – di trasferire dalla sede giurisdizionale a quella arbitrale i procedimenti pendenti innanzi al Tribunale e alla Corte d’Appello, eccetto quelli aventi ad oggetto diritti indisponibili e che vertono in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale. In tale ipotesi, il giudice dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale ovvero la corte di appello, ai fini della nomina del collegio arbitrale. Gli arbitri sono individuati tra gli avvocati iscritti da almeno tre anni all’albo dell’ordine circondariale, che hanno reso una dichiarazione di disponibilità al Consiglio stesso. La procedura si concluderà dunque con un lodo che avrà la medesima efficacia di una sentenza.
2. Negoziazione assistita.
Con tale intervento legislativo, si introduce nell’ordinamento la procedura di negoziazione assistita consistente nella sottoscrizione operata dalle parti in lite di un accordo (c.d. convenzione di negoziazione) mediante la quale esse convengono di collaborare per risolvere in via amichevole una controversia vertente su diritti disponibili tramite l’assistenza degli avvocati. Tale procedura trova spazio anche in materia di separazione e divorzio e, nello specifico, per: 1) soluzioni consensuali di separazione; 2) cessazione degli effetti civili; 3) divorzio; 4) modifica delle condizioni di separazione e divorzio. In tal modo, si introduce la possibilità di ottenere tali provvedimenti per il tramite di un ufficiale dello stato civile anche di un comune differente da quello in cui si è svolto il matrimonio. Pertanto, se due coniugi vogliono separarsi consensualmente possono rivolgersi ad un avvocato il quale, formalizzando l’accordo di separazione avrà l’obbligo di comunicarlo entro dieci giorni all’Ufficiale di Stato Civile. All’avvocato che viola l’obbligo di trasmissione, è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di euro 5.000 ad un massimo di euro 50.000 Tale procedura è applicabile solo nelle ipotesi espressamente richiamate ossia: nel caso in cui i coniugi non abbiano figli minori, maggiorenni incapaci, disabili con handicap gravi e non autosufficienti; in questi ultimi casi, infatti, l’intera procedura dovrà essere esaminata dal giudice.
3. Dichiarazioni rese al difensore.
Un’ulteriore novità consiste nell’introduzione della possibilità per l’avvocato di raccogliere materiale probatorio mediante l’acquisizione di dichiarazioni di terzi, che siano capaci di testimoniare, delle quali ne attesta l’autenticità. L’avvocato avrà la possibilità di utilizzare tali documenti a supporto della propria linea difensiva. Queste dichiarazioni testimoniali hanno pieno valore probatorio anche se il giudice, nella sua discrezionalità di giudizio, “può disporre anche d’ufficio” che il soggetto che ha rilasciato la dichiarazione compaia comunque dinanzi a sé.