Pensioni: il decreto del Governo restituisce solo il 12% del dovuto.
Lo scorso 16 giugno, in occasione delle audizioni presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, il Presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) – l’organismo incaricato di vigilare sui conti pubblici dello Stato – Giuseppe Pisauro, ha riferito in merito all’impatto che l’applicazione del decreto del Governo sulle pensioni avrà sull’indebitamento netto dello Stato.
Come ormai noto, ai sensi di quanto statuito nel decreto governativo dello scorso 18 maggio, i rimborsi per la mancata indicizzazione delle pensioni si concentreranno sulle fasce di reddito più basse. Nello specifico, i pensionati con un trattamento pari a tre/quattro volte il minimo stabilito dall’INPS (tra i 1.500 e i 2.000 euro lordi) riceveranno a partire dal prossimo mese di agosto, a titolo di arretrati, 816,40 euro per le fasce più basse e 319,80 euro per quelle più alte, in luogo dei rispettivi 3.008 euro e 4.157 euro, che gli spetterebbero se il Governo applicasse integralmente la sentenza della Consulta. Chi ha redditi superiori a sei volte il minimo (oltre 3.000 euro), invece, non avrà diritto ad alcun rimborso.
La relazione della Commissione ha calcolato che la restituzione totale fatta dal Governo sarà assai parziale e decisamente limitata, pari solo al 12% di quanto effettivamente perso dai pensionati a partire dal 2012.
Pur riconoscendo che il decreto comporta per lo Stato un onere annuo di circa 500 milioni – che andranno quindi sottratti ad altre manovre politiche – in Parlamento non è infatti passato inosservato il dato innegabile emerso dai documenti di stima dell’Upb: il decreto del Governo ha recepito in maniera assolutamente inadeguata e insufficiente la pronuncia della Corte Costituzionale.
Ci si augura, pertanto, che in sede di conversione il decreto sia modificato così da aumentare i rimborsi previsti, in conformità con il giudicato costituzionale.
In alternativa, e già da ora, ribadiamo l’intenzione dello Studio Lana Lagostena Bassi di proporre nelle opportune sedi giudiziarie le azioni necessarie per tutelare il diritto dei pensionati a ricevere quanto loro spettante.
Sangue infetto: il Ministero della Salute persiste nell’inadempimento delle sentenze e nel ritardare la conclusione delle procedure transattive.
Il Ministero della Salute, a tutt’oggi, continua a non dare spontanea esecuzione alle sentenze di riconoscimento del danno da contrazione dei virus dell’HIV, dell’HCV e dell’HBV, a seguito della somministrazione di emoderivati e sangue infetto.
A fronte di tale inadempimento, che concerne tanto le sentenze provvisoriamente esecutive, quanto quelle passate in giudicato, lo Studio Lana Lagostena Bassi si vede costretto a promuovere giudizi di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo, con ulteriore procrastinarsi dell’attesa del risarcimento per i danneggiati, nonché maggiori spese a carico dell’Amministrazione. Tale aspetto delinea, peraltro, nuovi profili di responsabilità in capo al Ministero della Salute a titolo di danno erariale, per il quale si auspica un intervento della Corte dei Conti.
Tutto tace, altresì, per quel che riguarda la transazione di cui alle leggi n. 222 del 29 novembre 2007 e n. 244 del 24 dicembre 2007, nonché la procedura ex art. 27 bis della legge n. 114 dell’11 agosto 2014. Invero, nonostante le promesse del Sottosegretario alla salute, Vito De Filippo, risalenti ormai all’ottobre 2014, circa una tempestiva nuova riunione volta ad esaminare lo stato delle transazioni, e nonostante i ripetuti solleciti da parte dello Studio Lana Lagostena Bassi, nessun successivo approfondimento è stato effettivamente svolto dal Ministero per la definizione di dette procedure.
Epatite C: migliorano le condizioni di accesso al farmaco Sofosbuvir.
Continua la nostra attività di informazione sul nuovo farmaco ad azione antivirale diretta (DAA) che agisce sul virus dell’Epatite C, bloccandone lareplicazione e arrestando, nei casi più gravi, la degenerazione della malattia. L’associazione EpaC, in accordo con le istituzioni, si è impegnata a segnalare ai NAS, all’Aifa e al Ministero della Salute qualunque situazione che impedisca l’accesso al Sofosbuvir (il cui nome commerciale è Sovaldi). Questo nuovo farmaco soppianta la cura tradizionale a base di interferone che è responsabile di numerosi effetti collaterali. Negli ultimi mesi sono giunte all’EpaC numerose segnalazioni di pazienti che denunciano difficoltà di accesso al farmaco. Per ogni segnalazione l’EpaC verifica e ricostruisce i fatti e si assicura che i pazienti rientrino nei casi previsti dai criteri di accesso Aifa, ed in particolare che i primi ad usufruire delle cure siano i soggetti più gravi, ad alto rischio di complicanze.
Quasi la metà delle segnalazioni è stata risolta o è in via di risoluzione, consentendo quindi ai pazienti di iniziare il trattamento, ma ancora molte altre restano bloccate.
Allo stato attuale la maggior parte delle segnalazioni irrisolte provengono dalle Regioni Umbria e Piemonte che presentano ancora numerose difficoltà per quanto riguarda la prescrizione e l’erogazione delle terapie “salva vita”. In Piemonte, grazie ad uno stanziamento di cinquanta milioni di euro per l’acquisto del farmaco, la situazione sembra in via di risoluzione. In Umbria, invece, l’EpaC ha chiesto ai NAS di indagare sui motivi del ritardo nella somministrazione del farmaco.
Migliora invece la collaborazione con altre regioni italiane. In Sicilia, ad esempio, e in particolare nella città di Messina, da poco più di un mese è iniziata la somministrazione del Sofosbuvir al Policlinico “G. Martino”, struttura già da tempo specializzata per la cura delle patologie del fegato e riconosciuta come centro autorizzato alla dispensazione del farmaco nell’ambito della rete regionale per la gestione dell’epatite C.
Un’altra regione che si sta impegnando attivamente per consentire l’accesso alle cure nel più breve tempo possibile è la Toscana la quale, preso atto che la prima asta è andata deserta, ha incaricato l’Estar, l’ente di supporto tecnico – amministrativo regionale, di indire un nuovo bando per la fornitura dei farmaci per gli anni dal 2015 al 2017, eliminando il vincolo della “base d’asta” e prevedendo l’aggiudicazione per ogni singolo genotipo della terapia offerta al prezzo più basso.
La Corte di Strasburgo: l’editore risponde anche dei commenti diffamatori.
Il 16 giugno u.s. la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata definitivamente su di un caso avente ad oggetto la libertà di espressione. La società Delfi AS, gestore del più importante sito estone di informazione su internet, lamentava infatti una violazione della suddetta libertà, garantita all’art. 10 della CEDU, in relazione a fatti avvenuti nel gennaio 2006. All’epoca infatti la compagnia pubblicò un articolo relativo alla “distruzione” delle strade pubbliche in ghiaccio capaci di collegare la terraferma alle isole estoni, operata dalla compagnia SLK, fornitrice di servizi di trasporto e collegamento via traghetto. Alla notizia seguì l’ira del “popolo del web” che si scatenò in commenti piuttosto violenti e palesemente offensivi nei confronti del signor L., maggior azionista e membro del consiglio di amministrazione della SLK. L’uomo decise così di procedere per via legale contro la Delfi AS per il mancato controllo sui commenti inappropriati pubblicati, capaci di ledere la propria persona. La giurisdizione di secondo grado, riformando quanto deciso dal giudice di prima istanza, riconobbe la violazione e condannò la società al pagamento di un risarcimento pecuniario. Il sito stesso infatti riportava una nota in cui la compagnia si riservava il diritto di cancellare i commenti considerati contrari alla “good practise”, in poche parole inappropriati. Tanto che la Delfi AS aveva effettivamente provveduto, nei giorni seguenti l’accaduto, all’eliminazione dei suddetti commenti inappropriati. Tuttavia per i giudici interni tale sistema di controllo fu valutato come insufficiente e contrario al principio della buona fede, assegnando alle potenziali vittime l’oneroso compito di vigilare i commenti. Per questo motivo pronunciarono una sentenza di condanna, ritenendo che la compagnia stessa dovesse essere considerata “publisher of the comments” e non potesse dunque evitare la responsabilità per quanto scritto da altri utenti, molti dei quali anche anonimi. Dopotutto quella di permettere ad utenti non registrati di commentare i propri articoli era stata una scelta libera della Delfi As, la quale dunque si assumeva automaticamente un certo grado di responsabilità per tali commenti.
A seguito della condanna a livello nazionale, la compagnia decise così di adire la Corte EDU, ritenendo che la propria libertà di espressione fosse stata lesa. Ma a tale proposito si sono espresse in modo negativo sia la Camera sia appunto più di recente, in ultima istanza, la Grande Camera. Quest’ultima ha sostanzialmente motivato la propria decisione richiamando non solo quanto stabilito nella Direttiva 2000/31/EC sul commercio elettronico ma, più in generale, quanto già affermato precedentemente dagli altri giudici. Nel caso di specie non è difatti censurabile una violazione dell’art. 10 CEDU per numerose ragioni. Innanzitutto, trattandosi di una materia di interesse generale, la Delfi As, nel pubblicare la notizia, avrebbe dovuto in un certo qual modo prevedere le possibili reazioni negative dei lettori ed adoperare una cautela maggiore nel controllo dei commenti. Ciò naturalmente anche agendo preliminarmente, impedendo cioè che commenti particolarmente offensivi fossero resi pubblici. In secondo luogo, tenuto conto che la società incita i lettori a commentare a scopo ultimo di lucro, l’amministratore del sito internet può essere effettivamente assimilato all’editore di carta stampata, con i doveri e responsabilità che ne conseguono. Infine, la maggior parte dei commenti erano dei veri e propri discorsi d’odio o incitazioni alla violenza, che dunque in quanto tali non possono godere della protezione fornita dall’art. 10 CEDU.
Perciò i giudici della Grande Camera, pur riconoscendo i grandi benefici derivanti dalla comunicazione via Internet, hanno ritenuto giusta ed equa la condanna inflitta alla Delfi AS, ritenendo appunto la protezione del rispetto alla vita privata ed il godimento dei diritti umani, prevalenti su di una generica “libertà di stampa”.
Corso di specializzazione sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: sesto modulo.
Il 3 luglio, presso la Sala Seminari della Cassa Nazionale Forense, si terrà il sesto e ultimo incontro del nuovo “Corso di specializzazione sulla convenzione europea dei diritti umani”, organizzato dall’Unione forense per la tutela dei diritti umani (UFTDU) con il patrocinio del Consiglio d’Europa di Venezia, ed articolato in sei distinti moduli tematici della durata di sei ore ciascuno.
Questo sesto modulo avrà oggetto la tutela della proprietà privata e vedrà la partecipazione di Enzo Cannizzaro, Professore di diritto internazionale nella Sapienza – Università di Roma, di Fabio Gullotta, Avvocato in Roma, componente del Comitato direttivo dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani, e di Nicola Napoletano, Ricercatore di diritto internazionale nell’Unitelma Sapienza – Università telematica.
Il corso è destinato ad avvocati, magistrati, praticanti avvocati, laureandi in giurisprudenza, operatori del diritto, rappresentanti delle ONG specializzate nel settore dei diritti umani, funzionari della pubblica amministrazione e, in generale, a tutti coloro che intendano conseguire una specializzazione nelle materie della CEDU.
Summer School sulla “Tutela europea dei diritti fondamentali”
L’Unione forense per la tutela dei diritti umani, in collaborazione con l’EIUC ha organizzato la Summer School sulla “Tutela europea dei diritti fondamentali”, che si terrà a Venezia da lunedì 20 luglio a venerdì 24 luglio 2015 (dalle ore 09:30 alle ore 16:30), per una durata complessiva di 30 ore.
Si tratta di un’occasione imperdibile per approfondire la tematica degli strumenti europei di protezione dei diritti umani (dalla CEDU alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per analizzare il funzionamento delle Corti europee e la conoscenza della giurisprudenza in materia.
L’evento è destinato ad avvocati, magistrati, praticanti avvocati, neo laureati e laureandi, studenti universitari, funzionari pubblici, operatori del diritto, rappresentanti delle ONG specializzate nel settore dei diritti umani, nonché a tutti coloro che intendano conseguire una specializzazione nelle materie della CEDU, per l’esercizio della professione, la partecipazione a concorsi o l’accesso a organizzazioni internazionali operanti nell’ambito della tutela dei diritti umani.
Gli incontri si terranno in una delle location più suggestive d’Italia, l’isola di San Servolo a Venezia (sede della Venice International University – VIU), per un numero massimo di 40 partecipanti.
Tra I relatori, l’Avv. Anton Giulio Lana, il Prof. Enzo Cannizzaro, il Prof. Vittorio Manes, il Prof. Giuseppe Cataldi, il Prof. Andrea Saccucci, i referendari della Corte Paolo Cancemi e Andrea Tamietti e tanti altri ancora. Il termine ultimo per l’iscrizione è il 15 luglio 2015.
Il programma e le modalità di iscrizione sono disponibili sul nostro sito.