E' nullo il procedimento di adozione se manca l'assistenza legale del minore interessato.
Con la sentenza n. 11782, depositata l’8 giugno u.s., la Corte di Cassazione ha dichiarato la nullità del giudizio per l’accertamento dello stato di adottabilità svoltosi senza l’assistenza legale del minore.
In particolare, con tale pronuncia è stato affermato il principio di diritto secondo cui il minore ha diritto di avere un’assistenza tecnica nei procedimenti di adottabilità e che, ove il tutore non abbia la qualità per stare in giudizio personalmente e non provveda alla nomina di un difensore tecnico, il Tribunale per i Minorenni deve provvedere alla nomina di un difensore d’ufficio ovvero di un curatore speciale.
Invero, dal coordinamento delle disposizioni di cui all’art. 8 comma 4 e 10 comma 2 della legge n. 184/1983 e successive modificazioni, emerge non solo la volontà del legislatore di considerare necessaria la partecipazione al procedimento del minore e dei genitori ovvero, in mancanza, degli altri parenti entro il quarto grado che abbiano con il minore rapporti significativi, ma anche quella di garantire loro un’assistenza legale finalizzata all’esplicazione di una effettiva difesa nel processo.
Peraltro, la Cassazione ha precisato che: “Se l’art. 10 prevede che all’atto dell’apertura del procedimento, i genitori del minore siano avvertiti e invitati a nominare un difensore, nonché informati della nomina di un difensore di ufficio nel caso non vi provvedano, non può logicamente ritenersi che una tutela inferiore possa essere accordata alla partecipazione del minore al procedimento di cui è la parte principale, in ragione della mancata previsione di un tale invito al tutore già nominato o nominato contestualmente all’apertura del procedimento.”
Corte di Giustizia dell’Unione europea: non è ammessa la reclusione di un cittadino di un Paese non UE per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio di uno Stato membro.
Con sentenza del 7 giugno 2016, resa nella causa C-47/15 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell’art. 267 TFUE dalla Cour de Cassation francese, la Corte di Lussemburgo ha affermato che la «direttiva rimpatri» osta a che un cittadino di un paese non UE, prima di essere sottoposto alla procedura di rimpatrio, possa essere recluso per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio di uno Stato membro attraverso una frontiera interna dello spazio Schengen. Ciò vale anche allorché tale cittadino, trovandosi in una situazione di mero transito nel territorio dello Stato membro interessato, venga fermato in uscita dallo spazio Schengen e sia sottoposto a una procedura di riammissione nello Stato membro da cui proviene.
Il caso a quo riguardava una cittadina ghanese – sig.ra Sélina Affum – che, fermata il 22 marzo 2013 al punto d’ingresso del tunnel sotto la Manica, mentre si trovava a bordo di un autobus proveniente dal Belgio, aveva esibito un passaporto belga recante la foto ed il nome di un terzo. La stessa aveva, quindi, contestato dinanzi le competenti autorità francesi la regolarità del fermo di polizia a cui era stata sottoposta per ingresso irregolare in Francia.
Nella sentenza in esame, la Corte richiama anzitutto la sua giurisprudenza Achughbabian (sentenza del 6 dicembre 2011, C-329/11, v. CP n. 133/11), secondo la quale la «direttiva rimpatri» osta a qualsiasi normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante la reclusione di un cittadino di un paese non UE nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista da tale direttiva.
Atteso che la Corte di giustizia ha ritenuto la «direttiva rimpatri» applicabile al caso di specie, la sig.ra Affum non poteva essere reclusa per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio francese prima di essere stata sottoposta alla procedura di rimpatrio. Tuttavia, le autorità francesi non avevano neppure avviato tale procedura.
La Corte dichiara pertanto che, per le medesime ragioni esposte nella sua giurisprudenza Achughbabian, gli Stati membri non possono consentire la reclusione per mero soggiorno irregolare dei cittadini di paesi non UE, nei confronti dei quali la procedura di rimpatrio prevista dalla richiamata direttiva non sia stata ancora conclusa, in quanto tale reclusione rischia di ostacolare l’applicazione della procedura stessa e a ritardare il rimpatrio, pregiudicando quindi l’effetto utile della direttiva. Tuttavia, la Corte precisa che ciò non esclude la facoltà per gli Stati membri di reprimere con la pena della reclusione reati diversi da quelli attinenti alla sola circostanza dell’irregolare ingresso, anche in situazioni in cui la procedura di rimpatrio non sia stata ancora conclusa.
Il Tribunale di Potenza autorizza il cambio di sesso all’anagrafe anche in assenza dell’operazione chirurgica.
Il Tribunale di Potenza, con la recente sentenza n. 779 del 12 giugno us., ha accolto la domanda di rettifica anagrafica del nome e del sesso biologico di un soggetto transessuale che non intendeva sottoporsi all’intervento chirurgico necessario per il cambio di sesso.
Il ricorrente adiva il Tribunale di Potenza al fine di chiedere all’autorità giudicante di ordinare all’ufficio dell’anagrafe del comune la rettifica dei dati presenti sul certificato di nascita da sesso maschile a sesso femminile, senza la preventiva sottoposizione all’intervento chirurgico.
Il ricorrente, a seguito di un percorso psicoterapeutico, ormonale e di chirurgia estetica, modificava radicalmente il proprio aspetto fino al punto da essere considerato una donna a tutti gli effetti all’interno della comunità. Proprio in virtù del raggiungimento di un tale equilibrio psico-fisico, decideva di non sottoporsi all’invasivo intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi genitali.
Il Tribunale, dunque, con questa sentenza, si allinea perfettamente con il recente e oramai consolidato quadro giurisprudenziale interno ed europeo secondo il quale “non è solo l’intervento chirurgico a determinare il cambio di sesso di una persona: la ricorrente, infatti, aveva rinunciato alla demolizione e ricostruzione chirurgica dei suoi organi genitali proprio perché aveva raggiunto nel tempo il proprio equilibrio psico-fisico”.
In tal senso, giova altresì richiamare la Risoluzione n° 2048 dell’aprile 2015, emanata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ed intitolata “Discrimination against transgender people in Europe”, oltre che la giurisprudenza in tema della Corte europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare la sentenza del marzo 2015 nel caso Y.Y. c. Turchia, che ha censurato la scelta dello Stato turco di imporre la sterilizzazione chirurgica ad una persona transessuale che chiedeva di poter cambiare sesso.
Corte di Cassazione: ok alla stepchild adoption.
Con la sentenza 12962/16, la Corte di Cassazione ha deciso una fattispecie di adozione “in casi particolari” prevista dall’art. 44 della legge n. 184 del 1983. La Suprema Corte si è pronunciata sulla domanda di adozione di O.A., una minore (che oggi ha sette anni), da parte di una partner stabilmente convivente con la madre: un primo via libera era stato dato dal Tribunale dei minorenni di Roma nell’estate del 2014, poi l’anno dopo vi era stata la conferma della pronuncia da parte della Corte d’Appello.
I giudici della Prima sezione civile, nel confermare l’adozione della coppia di donne omosessuali, hanno affermato che questa “non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice”. Secondo la Cassazione, inoltre, questa adozione prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore.
Nel motivare la propria sentenza, la Cassazione ha tra l’altro sottolineato che “il consenso degli Stati aderenti alla CEDU all’adozione legittimante da parte di persone dello stesso sesso e all’adozione cosiddetta coparentale è notevolmente cresciuto” negli ultimi anni.
“Dopo di noi”: approvata la legge in materia di assistenza ai soggetti disabili.
La Camera dei Deputati, in data 14 giugno 2016, ha approvato in via definitiva il disegno di legge «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno famigliare», anche detta legge “Dopo di noi”.
La finalità del provvedimento è quella di disciplinare le «misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori».
Per la prima volta nell’ordinamento giuridico, dunque, vengono individuate e riconosciute specifiche tutele per le persone con disabilità quando vengono a mancare i parenti che li hanno seguiti fino a quel momento.
Scopo perseguito dal provvedimento è, dunque, quello garantire la massima autonomia e indipendenza delle persone disabili, al fine di consentirgli, ad esempio, di continuare a vivere nelle proprie case o in strutture gestite da associazioni ed evitando il ricorso all’assistenza sanitaria.
Per la realizzazione di tale meritevole scopo viene istituito un “Fondo” per l’assistenza delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare dotato, per l’anno 2016, di 90 milioni, di 38,3 per il 2017 e 56,1 a decorrere dal 2018.
Le risorse saranno destinate all’attivazione e al potenziamento dei programmi volti «a favorire percorsi di deistituzionalizzazione e di supporto alla domiciliarità»; alla realizzazione di interventi «per la permanenza temporanea in una soluzione abitativa extra-familiare per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza», sempre nel rispetto della volontà delle persone con disabilità, dove possibile, dei loro genitori o di cura dei loro interessi; al sostegno di interventi innovativi di residenzialità per le persone con disabilità grave, volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing; allo sviluppo di programmi di «accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile».
L’avv. Lana partecipa al convegno “Tutela dei minori dentro e fuori la famiglia: criticità e possibili soluzioni”.
Lo scorso venerdì 17 giugno, l’avv. Anton Giulio Lana ha partecipato al convegno “Tutela dei minori dentro e fuori la famiglia: criticità e possibili soluzioni”, organizzato presso l’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati.
Al centro dell’incontro, il tema dell’allontanamento dei minori e del business che ruota attorno alle case famiglia.
All’incontro hanno preso parte Cristina Franceschini, Presidente dell’Associazione Finalmente Liberi Onlus, Flaminio Monteleone, Sostituto Procuratore presso la Procura per i Minorenni di Perugia, Rossana Eugenia Botti, Specialista in psichiatria e criminologia e Mauro Imparato, Psicologo e psicoterapeuta (nonché ex Giudice onorario presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna).
L’Avv. Prof. Anton Giulio Lana è stato invitato a intervenire sul tema: “Allontanamento dei minori e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”.