Sangue infetto: il Giudice per l’udienza preliminare di Napoli rinvia a giudizio nove imputati. Il processo inizierà l’11 luglio.
Il 9 maggio 2014 il Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Napoli, Dott. Francesco De Falco Giannone, accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero, Dott. Lucio Giugliano, ha rinviato a giudizio nove imputati: Guelfo Marcucci, Enzo Bucci, Giovanni Rinaldi, Faustino Boschi, Enrico Romano, Roberto Passino, Carlo Grassi, Anna Maria Tonsa e Francesco Degli Onofri. Tra loro, molti dirigenti e amministratori di importanti aziende farmaceutiche italiane, quali il Gruppo Marcucci, l’Aima Derivati, la Farmabiagini e la Sclavo. Per Roberto Morini, deceduto nel corso del procedimento penale, è stato dichiarato non doversi procedere in quanto i reati a lui ascritti sono estinti per morte dell’imputato.
Tra i capi d’imputazione per i quali si procede, vi è anche l’omicidio colposo plurimo aggravato, per fatti collegati ai danni causati dall’utilizzo di sangue e farmaci emoderivati infetti.
Per un altro imputato eccellente, Duilio Poggiolini, ex direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità, a causa di un difetto di notifica, sarà celebrata un’altra udienza preliminare.
Questo procedimento penale ha avuto un iter molto travagliato, in quanto è iniziato presso la Procura della Repubblica di Roma ed è stato trasferito dapprima a Trento e, successivamente, a Napoli.
Finalmente, il processo penale inizierà, innanzi al giudice monocratico del Tribunale di Napoli, dott. Vincenzo Caputo, il prossimo 11 luglio. A questa udienza, lo Studio Legale Associato Lana – Lagostena Bassi, il primo ad aver intrapreso la battaglia a fianco dei danneggiati, sempre in prima linea nella difesa dei loro interessi, rappresenterà alcune delle persone offese intenzionate a costituirsi parti civili nel processo.
Alcune interessanti pronunce di merito in materia di dies a quo del termine prescrizionale del diritto al risarcimento dei danni da contagio da sangue infetto.
Come noto, le Sezioni Unite Civili, con la sentenza n. 581 del 11 gennaio 2008, hanno affermato che in linea generale non può ritenersi che solo con la comunicazione del responso della Commissione Medica Ospedaliera, sulla domanda di indennizzo di cui alla legge n. 210/1992, inizi a decorrere la prescrizione.
Tuttavia, talune aperture di senso contrario si sono avute da parte della giurisprudenza di merito, anche successiva alla pronuncia del Supremo Collegio. Si segnala, ad esempio, Corte di Appello di Roma, sentenza 21 gennaio 2013, n. 383, secondo la quale “se di norma è sostenibile che la proposizione della domanda volta al riconoscimento del suddetto indennizzo comporta conoscenza o conoscibilità, in capo al danneggiato, del nesso causale tra l’epatite e la pregressa trasfusione; nel caso di specie è legittimo dubitare che il danneggiato avesse la piena consapevolezza di ciò, ben potendo ritenere solo la mera possibilità di tale nesso causale, bastevole per la domanda di indennizzo, ma insufficiente per intraprendere un’azione giudiziaria fondata sull’art. 2043 c.c. e, quindi, sul ben più gravoso onere della prova a carico del danneggiato circa l’esistenza del nesso causale tra le trasfusioni e l’epatite C. Invece, deve concludersi che solo con il responso della C.M.O. [..] la parte abbia acquisito siffatta chiara contezza dell’esistenza del nesso causale tra epatite C e trasfusioni e che, quindi, solo da tale responso, sia stata nelle condizioni di esercitare il diritto al risarcimento del danno”.
In precedente, anche il Tribunale di L’Aquila, con la sentenza 26 ottobre 2012, n. 716, era pervenuto allo stesso risultato, affermando che, sebbene il danneggiato avesse avuto conoscenza dell’eventus damni in un momento anteriore, era solo a seguito del responso della Commissione Medica Ospedaliera che poteva aver avuto sicura contezza della riferibilità eziologica alle trasfusioni, così che è tale momento da assumere quale dies a quo del termine prescrizionale.
Risarcimento milionario alla famiglia di un bambino ucciso da un farmaco emoderivato infetto.
All’esito di un procedimento giudiziario durato quasi dieci anni, il Tribunale di Roma, in persona del giudice dott.ssa Lilia Papoff, con la sentenza n. 8341 dell’11 aprile 2014, ha riconosciuto la responsabilità del Ministero della Salute per la morte di un bambino di soli 13 anni, avvenuta nel 1994, a causa delle complicanze originatesi dai virus dell’epatite C e dell’HIV, contratti successivamente all’assunzione di farmaci emoderivati.
Grazie all’ostinata lotta per la ricerca della verità da parte dei genitori e del fratello del piccolo Alessandro, rappresentati e difesi dagli avvocati dello Studio Legale Associato Lana – Lagostena Bassi, è stato loro riconosciuto un risarcimento di circa 1.500.000 euro, tra i più elevati tra quelli disposti in casi simili.
E’ chiaro che la perdita di una vita umana, peraltro in così tenera età, non possa essere risarcita da alcuna somma economica, tuttavia è importante che, ancora una volta, sia stata fatta giustizia, in una vicenda – quale quella delle vittime dei danni causati dall’utilizzo di sangue e dei farmaci emoderivati infetti – tra le più brutte nella storia di questo Paese.
Ancora una volta, spiace constatare che, nonostante le continue condanne che lo Stato subisce in sede giudiziale, a livello ministeriale si continui ad ignorare la legge che ha imposto una transazione globale, volta a definire in via bonaria l’enorme mole di giudizi instaurati da altrettanti sfortunati soggetti danneggiati.
Transazioni in materia di sangue infetto.
Allo stato attuale non vi sono novità da segnalare con riguardo alle tanto attese transazioni tra il Ministero della Salute ed i numerosi danneggiati da contagio da sangue infetto, i cui procedimenti giudiziari sono ancora in corso.
Lo Studio Lana – Lagostena Bassi si sta adoperando al massimo grado in un’intensa attività di lobbing sul Ministero per accelerare la definizione del procedimento transattivo.
Si rammenta che lo Studio ha proposto molteplici azioni innanzi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo volti, da un lato a contestare l’abusività del termine prescrizionale, ritenuto troppo breve, e dall’altro lato, l’eccessiva durata del procedimento transattivo.
Non appena vi saranno aggiornamenti su questo tema, ne daremo tempestiva notizia anche attraverso questo canale.
Il caso Shalabayeva: riconoscimento dello status di rifugiato.
La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma, con decisione dello scorso 18 aprile, ha riconosciuto lo “status di rifugiato ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra” ad Alma Shalabayeva ed a sua figlia Alua.
Grazie all’impegno professionale profuso dall’Avv. Anton Giulio Lana, tale decisione, giunta dopo una lunga ed articolata audizione, ha riconosciuto il fondato timore di persecuzione da parte del Kazakistan. La decisione è arrivata in tempi rapidi, in quanto alla domanda di asilo è stato assicurato un esame prioritario, stante l’importanza e la delicatezza della questione.
Il caso è balzato agli onori della cronaca nell’estate del 2013, quando la signora Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, oppositore del presidente Nursultan Nazarbayev, fu accusata di essere entrata illegalmente nel nostro Stato e prelevata dalla sua abitazione dalle forze dell’ordine, insieme alla figlia più piccola, Alua, di soli sei anni. Le due donne furono frettolosamente espulse ed imbarcate su un aereo diretto in Kazakistan. Soltanto poco dopo Natale, riuscirono a fare ritorno in Italia, anche grazie all’impegno profuso dell’on. Emma, allora Ministro degli Affari Esteri.
La concessione dello status di rifugiato ad Alma Shalabayeva rappresenta, indubbiamente, un segnale positivo dell’impegno italiano sul piano internazionale, e riabilita il nostro Paese, rispetto ad una iniziale gestione della vicenda, che può certamente definirsi quantomeno criticabile, sotto molti punti di vista.
La Corte costituzionale ed il matrimonio contratto da persona transessuale.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 170 dell’11 giugno 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge n. 164/1982, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio civile e la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio concordatario, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima.
La Consulta, pur non ritenendo incostituzionale la disposizione che prevede lo scioglimento automatico del vincolo matrimoniale, poiché ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, ritenuto in contrasto con l’art. 29 Cost., ha comunque richiamato il legislatore ad assolvere, con la massima sollecitudine, il compito di evitare che i coniugi passino da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza.
Con questa importante pronuncia, il Giudice delle leggi ribadsce, come già affermato nella sentenza n. 138 del 2010, che nella nozione di “formazione sociale” – nel quadro della quale l’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo – è da ricomprendere anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempo, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
E’ stata pubblicata la guida “La Corte europea dei diritti dell’Uomo – Domande e risposte per avvocati”.
Si segnala un prezioso strumento per gli avvocati ed un utile riferimento per i cittadini europei, che intendano ottenere tutela e ristoro in caso di violazione dei loro diritti fondamentali.
Il Consiglio degli Ordini forensi d’Europa (CCBE), di cui fa parte il CNF, ha pubblicato una preziosa guida dal titolo “La Corte europea dei diritti dell’Uomo – Domande e risposte per avvocati”.
La pubblicazione, che si apre con una prefazione del presidente della Corte europea dei diritti dell’Uomo, Dean Spielmann, fornisce, infatti, una serie di informazioni e di indicazioni in merito alle corrette modalità di presentazione di un ricorso giuridicamente ben argomentato, allo scopo di innalzarne le qualità ed evitare il rischio di una pronuncia di irricevibilità.
La traduzione in italiano, curata dall’Avv. Anton Giulio Lana, membro della delegazione delegazione del CNF presso il CCBE, può essere scaricata QUI .
Convegno sulla “Natimortalità. Genitorialità Negata”.
Gli Avvocati Anton Giulio Lana e Mario Melillo sono intervenuti al convegno “Natimortalità. Genitorialità Negata”, organizzato dall’associazione Pensiero Celeste, che si è tenuto il 14 giugno 2014, presso la Conference Hall dell’Hotel Abitart di Roma.
Scopo di questo interessante evento è stato superare numerosi tabù in materia di natimortalità e aborto terapeutico. Ciò a causa della poca attenzione e dello scarso rispetto che su tali temi vi è anche a livello legislativo. Si è valutata, infine, la possibilità di proporre un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’Uomo.
Minori Rom: tutela dei diritti e prevenzione dell’esclusione.
L’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani, in collaborazione con l’Ufficio Antidiscriminazioni (UNAR) organizza un convegno dedicato ai minori Rom, che si terrà a Roma, in Viale David Lubin 2, il giorno 10 luglio 2014, dalle ore 9:00 alle ore 13:00. Nel corso del convegno saranno analizzati tutti gli aspetti della normativa vigente in materia di tutela dei diritti dei minori di origine Roma. Chi fosse interessato, può reperire il programma dell’evento QUI.